Illuminate: New York racconta il Covid attraverso la luce
Il mondo della comunicazione è sterminato e ricco di infinite vie, infinite figure professionali, e milioni di modi per dire qualcosa.
Nell’ultimo anno, tutti, nessuno escluso, siamo stati privati di gran parte della nostre forme di libertà, di realizzazione, di espressione e in molti, moltissimi, hanno persino dovuto rinunciare alla possibilità di lavorare.
C’è chi ha potuto reinventarsi, e chi ha fatto, del Covid, una storia da raccontare.
Il protagonista di oggi
Domingo Abrusci è un caro amico di Pastel Studio: un giovane architetto pugliese che qualche anno fa, dopo esperienze lavorative di tutto rispetto in Italia, ha deciso di fare un biglietto di sola andata per New York, e li è rimasto, creando, esperienza dopo esperienza, una carriera di grandi soddisfazioni nel mondo dell’interior.
Ma il Covid gli ha, per il momento, portato via quella che era una nuova, rincorsa ed entusiasmante esperienza lavorativa in una grande maison di moda italiana: Fendi.
E così, in bilico un po’ come tutti, ma con la consapevolezza che nel resto del mondo non stesse arrivando la corretta percezione della situazione legata alla pandemia nella città di New York, ha pensato ad un’installazione di luci led, che, con il variare di colori ed intensità, tenesse una mappatura della situazione contagi nella città di New York. Le luci dell’installazione, infatti, variano la loro intensità e la loro distribuzione in base a 4 parametri: i contagi, i decessi, i contagi tra le persone di colore, e i contagi nelle categorie meno abbienti. Il progetto nasce proprio per raccontare quanto il Coronavirus sia stata una pandemia, affatto democratica, di come abbia colpito dei quartieri molto più di altri, delle classi lavorative e sociale, molto più di altre.
Coadiuvato da altri professionisti, per realizzare l’opera ha attivato un crowdfounding, pratica che in Italia non ha il benché minimo appeal o risultato, mentre in America viene molto utilizzata.
E così, passo dopo passo, l’installazione ha preso vita.
La nostra intervista al designer
Abbiamo chiesto a Domingo di raccontarci di questo periodo, e di questa iniziativa, nata dall’altro lato dell’oceano, da un cuore pugliese.
Paste Studio: Che ci fai a NY e da quanto sei lì?
Domingo: Bella domanda! Tutto è partito più di 5 anni fa, quando in momento di pausa con il mio lavoro cercavo una nuova avventura e arricchire le mie conoscenze studiando l’inglese. Da essere un’avventura di soli 5 mesi si è trasformata in vita reale. Sono un architetto e mi occupo qui a New York prevalentemente di Retail per grandi brand, come Fendi per cui lavoravo fino all’arrivo del Covid, ma senza dimenticare la vocazione per il design, con piccole escursioni, come nel caso dell’installazione.
PS: Qual è stata secondo la percezione giusta e quella sbagliata, che qui in Italia, abbiamo avuto della situazione in America legata al Covid19?
D: La percezione giusta è stata che i primi tempi soprattutto, e parlo di NY perché vivo qui, sono stati terribili e quasi catastrofici come li descrivevano in Italia. Ma poi, dopo che NY ha attuato le misure più stringenti degli Stati Uniti (ogni stato decide per sé), le cose sono migliorate moltissimo ed ancora oggi non si è tornati alla situazione terribile di marzo. I media in Italia nominavo sempre solo NY, ma il vero problema è avvenuto in stati più permissivi che hanno, di fatto, portato i numeri a lievitare. Infatti ho vissuto un’estate abbastanza tranquilla, sono anche riuscito a viaggiare all’interno degli Stati Uniti. Inoltre se pensate a tutte le proteste del BLM i numeri covid sono stati di una media di casi giornalieri di 500/600 su una popolazione di 8 milioni e mezzo.
PS: Che clima si respirava lì durante il lockdown?
D: Il primo lockdown è stato inaspettato e, quindi, terribile. Inoltre qui siamo stati travolti quasi un mese dopo rispetto all’ Italia (io sono andato in ufficio fino al 15 marzo). Considera, inoltre, che molte società, sulla scorta di quelle che stava succedendo in Europa, hanno agito prima dei governi locali, mandando i loro dipendenti in smartworking prima che lo stato decidesse per il lockdown. Però noi eravamo iprivilegiati, se si considera il sottobosco di lavoratori che permette alla citta di vivere, e che questa fortuna non l’ha avuta. Infatti, soprattutto nei quartieri più poveri sono stati i più colpiti.
PS: Lavorativamente che cosa è cambiato nella tua vita con la pandemia?
D: Onestamente è cambiato molto per il mio lavoro e per la mia vita. Innanzitutto ho lavorato in smart working fino a Maggio, poi purtroppo, come il 50% delle persone, ho perso il lavoro. Questo, almeno all’inizio, ha avuto un impatto sia economico che morale pesante. Però dopo un iniziale e comprensibile periodo di incertezza, questa (chiamiamola) liberta lavorativa mi ha portato a sviluppare piccoli progetti che avevo nel cassetto e a idearne di nuovi come l’installazione.
PS: Come nasce l’idea di Illuminate? E qual è il suo scopo?
D: Il progetto è nato durante il lockdown, mentre eravamo chiusi in casa. Ripensavo ai viaggi, specialmente alla vista che si ha dall’aereo atterrando all’aeroporto La Guardia: Times Square completamente illuminata; quelle luci non hanno in effetti mai smesso di illuminare ma una città ormai vuota, e così credevo inizialmente prima di riflettere su come in realtà le cose stessero diversamente.. Molte comunità di lavoratori non hanno mai smesso di servire la città e probabilmente in relazione a questo specifiche comunità sono state colpite più duramente di altre, suggerendo ed esponendo problemi socio-strutturali sottostanti nella città, dunque come prima idea mi son chiesto se si potessero spegnere le luci in tutta la città per 15 minuti e riaccenderle con differente intensità nei quartieri più colpiti filmando con un drone il tutto! Sicuramente un po’ esagerata, ma di sicuro impatto. Approfondendo poi la cosa con la mia partner, Alexandra Payne che è un urban planner, abbiamo iniziato a ragionare su una scala più piccola, e a come poterla rappresentare approdando al prodotto finale.
Lo scopo.
Lo scopo iniziale era proporre un’opera d’arte di natura ‘informativa’: quello che qui chiamano “information is beautiful”; proporre una sorta di traduzione o democratizzazione dei dati accessibile, tramite un effetto visivo immediato e potente; ma mentre ci lavoravamo, ci siamo resi conto che non avevamo bisogno di creare dati visivi per le comunità che erano state colpite; quelle persone e comunità stavano già avendo un’intensa interazione personale con il COVID e l’installazione doveva essere rivolta all’intera comunità newyorkese così da permettere, a quelli meno colpiti dalla pandemia, di comprendere le difficoltà che altri loro concittadini stavano vivendo. Infatti, letteralmente e figurativamente, l’installazione porta alla luce dati che mostrano nello specifico le comunità che sono state colpite più gravemente dalla pandemia rispetto ad altre. In tal modo, vogliamo suggerire ed esporre le disuguaglianze strutturali. Ci spinge a chiederci: Cosa causa queste disparità nella nostra città? Cosa possiamo fare per contrastarli? Quali comunità hanno più bisogno del nostro supporto?
Inoltre la nostra speranza è che tale progetto possa, non solo raggiungere il suddetto obiettivo, bensì avere anche un’evoluzione in senso formativo, divenendo strumento educativo che possa, per mezzo di incontri e workshop specifici, tener viva l’attenzione sulle questioni che dall’analisi dei dati potranno, di volta, in volta emergere.
PS: Chi ti ha affiancato in questa avventura?
D: La mia partner, Alexandra Payne, una urban planner: io mi sono occupato del design, lei di raccolta, analisi e implementazione dei dati. Ovviamente per poter realizzare il tutto erano necessarie altre specializzazioni dunque abbiamo coinvolto Elisa Forlini come Light Designer (una mia ex collega) e Robyn Squires RYSQ p per la messa in opera.
PS: Progetti per il futuro?
D: Al momento visto la contingente crisi internazionale dovuta alla pandemia che ancora fa parte delle nostre vite, posso dire come si usa un po’ qui è tutto un po’ Up in the Air, però sto portando avanti il progetto Illuminate Covid con la mia partner e il 2 Marzo saremo in nuova location sempre a NY nell’East Village. La nostra speranza è che l’interesse cresca e possiamo mostrarlo in più parti della città per sensibilizzare quante più persone possibili. Inoltre presenterò il progetto in una conferenza in un corso di Architettura del primo anno a Roma, tenuto da un mio collega di università, ora docente. In caso riaprono le lezioni al pubblico, stiamo valutando la possibilità di un workshop con gli studenti.
Per quanto riguarda altri progetti personali, intanto sto rendendo pubblica con un website la mia carriera e i vari lavori in cui sono stato coinvolto negli anni. Il website sarà on air e si chiamerà DASH Architecture, che sarebbe DomingoAbrusciStudioHub. Sono inoltre in conversazione con un paio di gruppi per riprendere l’attività e ritornare a costruire store. Quello sicuro sarà il primo obbiettivo per il futuro: tornare a respirare l’aria di cantiere.
A lungo termine, invece, l’idea, tra qualche anno, viste le esperienze maturate nei due continenti, è quella di creare uno studio che possa seguire progetti in Italia/Europa e in America. Pero per questo magari aspettiamo tempi migliori e una situazione economica internazionale pre-covid.
Illuminate si trova fino al 1 Marzo presso The Canvas 250 Bowery, New York, 10012 NY
Grazie Domingo, ad maiora.